Baby
Killer: stralci di un elaborato più ampio sul fenomeno.
(di Simona
Contrasto)
L’argomento
che ho sviluppato nella mia trattazione è quello della criminalità
minorile ed in particolare del fenomeno del “baby-killer”, ovvero
dell’omicidio commesso per mano di un minorenne.
Prima
di entrare nello specifico dell’argomento, ho indagato quali
possono essere le cause sottostanti che possono condurre un bambino
ad agire criminalmente, talvolta fino a compiere un gesto tanto
estremo.
L’elaborato
parte, quindi, dall’analisi delle cause del disagio giovanile,
inteso come stato di profondo malessere che nasce e si alimenta in
diversi ambiti tra cui quello familiare, scolastico, sociale e
individuale.
Il
disagio può trovare soluzione in un ambiente che accoglie e protegge
il minore garantendogli un solido legame di attaccamento con le
principali figure di riferimento e un contesto di vita sereno ed
equilibrato, oppure, un ambiente sociale e scolastico che sia in
grado di sopperire a un ambiente familiare disagiato fungendo da
esempio sostitutivo.
Se
ciò non si verifica il disagio del ragazzo può evolvere in due
direzioni: l’isolamento che a lungo andare può portare allo
sviluppo di patologie fisico-psicologico-psichiatriche o la
devianza, intesa come una non adesione alle norme civili e
sociai, o persino la criminalità, ovvero un vero e proprio
attacco alle norme e alle leggi, attraverso azioni delittuose.
Rispetto
alla criminalità, dopo aver illustrato le varie forme che essa può
assumere, ho approfondito quella che è il cuore del mio scritto:
l’omicidio.
L’omicidio,
agito per mano di minori, si è sviluppato soprattutto in America,
ma, anche se in Italia è preferibile parlare ancora di episodi
isolati, piuttosto che di fenomeno diffuso, anche nel nostro paese,
come nel reso del Mondo i dati iniziano a rivestire valori
preoccupanti.
Ciò
che mi sono chiesta e sono andata poi a ricercare nella letteratura
presente sull’argomento è: cosa si nasconde dietro la maschera del
baby-killer e perché un bambino può arrivare a compiere un’azione
tanto grave.
Nella
maggior parte dei casi, a differenza di quanto potessi ipotizzare, i
giovani assassini sono ragazzi così detti “normali”, ovvero, non
agiscono spinti da patologie psichiatriche o neuro-chimiche, quindi,
la teoria ambientale si fa strada rispetto a quella psichiatrica.
Per
comprendere le motivazioni intrinseche dell’omicida occorre
analizzare il contesto di vita del ragazzo.
Nella
maggior parte dei casi sono figli della marginalità, alcuni hanno
appreso ad usare la violenza tra le mura domestiche in una famiglia
che diventa, come afferma Gulotta, “scuola di violenza”.
Il
minore è in fatti la sintesi di ciò che sperimenta quando è ancora
molto piccolo quindi, appartenere ad un nucleo familiare disgregato,
non aver stabilito un adeguato legame di attaccamento nella
primissima infanzia, essere stati vittime di abusi fisici o sessuali
o di trascuratezza e omissione di cure, può predisporlo al rischio
di sviluppare una personalità deviante.
Naturalmente
entrano in gioco anche le caratteristiche di personalità, secondo
alcuni autori vi è una vera e propria predisposizione a sviluppare
una mente criminale, Lombroso, nel suo libro “l’uomo criminale”,
parla addirittura della presenza di un gene specifico.
Anche
il contesto scolastico può favorire un’esplosione omicida. Diffuso
è ormai il fenomeno del bullismo, ragazzi che, guidati da un leader
(il bullo) attaccano fisicamente e/o verbalmente coetanei più deboli
per averne vantaggi materiali (come soldi) o semplicemente per il
gusto di sopraffare la vittima. A volte, l’aggressione può
diventare letale. Altre volte, si trasforma da vittima a carnefice
proprio colui che ha subito passivamente per lunghi periodi di tempo
le angherie dei compagni.
La
vittima del baby-killer può quindi essere un adulto significativo (o
che lo rappresenta poiché per qualche ragione riattiva il conflitto
intrapsichico che era stato represso) o un coetaneo, ma quasi mai è
un estraneo.
L’arma
d’elezione è quella di più facile reperibilità, in Italia per
esempio veleno o coltelli, in America, dove quasi ogni
famiglia ha un’arma da fuoco in casa, la pistola. Il luogo
scelto è quasi sempre uno familiare, casa o scuola.
Il
modo, uno stato di maggior debolezza dell’altro, per esempio
per uccidere un padre abusante si può scegliere di colpirlo nel
sonno.
Dalle
statistiche emerge come quasi sempre i piccoli aggressori siano di
sesso maschile, soprattutto pre-adolescenti o adolescenti, mentre i
casi di assassini sotto i 10 anni sono più rari e in questi casi
manca quasi sempre l’intenzionalità di uccidere: per i bambini la
morte è paragonabile al sonno e come dal sonno è poi possibile
risvegliarsi. Nei più piccoli manca quindi la capacità d’intendere
e volere, anche se, secondo la legislazione penale minorile, ciò
vale anche per gli infra 14enni che a quest’età non sono ancora in
grado di distinguere il bene dal male. A differenza di quanto si
potesse immaginare non sono le famiglie le principali vittime, ma
l’omicidio più frequente è quello compiuto durante una rapina o
sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
Tutto
il lavoro si conclude con delle ipotesi di prevenzione per evitare
un’ulteriore diffusione del fenomeno, quindi per evitare che nuovi
crimini vengano commessi e vecchi reati ripetuti.
La Prevenzione
Agire
in modo preventivo, significa ridurre
la portata di un fenomeno,
evitare che nuovi
delitti vengano commessi
o vecchi crimini
ripetuti.
Prevenire,
dunque, significa anticipare il sorgere fenomeni criminali agendo
sulle cause generatrici.
Agire
sulle cause generatrici comporta un’attenta analisi dei contesti di
vita del minore per individuare dove nasce e si alimenta il disagio.
I
dati emersi da una ricerca sui minori autori di reato, confermano che
il percorso della
devianza minorile parte
dalla famiglia,
sempre più disgregata e assente, passa
per la scuola,
incapace di accogliere la diversità e il disagio del minore, finisce
sulla strada e
sulle piazze dove spesso i ragazzi si riuniscono in bande per trovare
nel gruppo dei pari quel sostegno e quelle certezze che gli adulti
hanno loro negato.
Qualsiasi
attività di prevenzione, pertanto, non può prescindere dalla
famiglia,
intervenendo a sostegno della stessa con progetti
mirati al sostegno nelle difficoltà genitoriali e alla
responsabilizzazione degli stessi.
Un
ruolo determinante nella formazione della personalità dei minori è
quello delegato alla scuola,
compito che richiede sempre maggiori capacità di comprensione
del disagio per affrontarlo e recuperarlo con comportamenti di
integrazione ed educazione.
Grande
attenzione va posta al fenomeno della dispersione
scolastica, che
andrebbe monitorato
costantemente con la stipula di protocolli di intesa fra autorità
scolastica, giudiziaria e Comune di residenza del minore,
in modo da potere attivare
un tempestivo intervento.
La
prevenzione allora viene concepita come anticipazione, ma anche come
un aiuto per far
affiorare le risorse nascoste.
La
Prevenzione deve provvedere anche a far fiorire maggiore capacità
empatica nei
minori. Chi uccide, spesso, tende a vedere la vittima come
deumanizzata, come se fosse un oggetto che non può dunque provare
dolore. Migliorare la capacità empatica può aiutare il minore a
rifletter meglio prima di aggredire.
Tra
gli interventi preventivi che ho citato, all’interno del mio
elaborato, figurano quello del circle
time nelle scuole: la
finalità generale di tale strumento, è favorire la conoscenza
reciproca e l’assimilazione di regole efficaci di comunicazione,
nell’ottica di una educazione all’ascolto e all’espressione di
sé basata su valori quali il rispetto e l’equità.
Quello
del profilo di
comunità nel
sociale: si orienta a tutto il territorio, mira all’attuazione di
un processo di cambiamento su ciò che i membri della cittadinanza
ritengono prioritario, in base alle risorse disponibili e a quelle
che si possono attivare, l’obiettivo
principale è migliorare la qualità della vita.
Gli
interventi preventivi possono essere orientati verso la riduzione
dell’impatto di fattori ambientali di stress e
possono mirare a rafforzare
la capacità di popolazioni vulnerabili ad affrontare un determinato
disagio.
La
mediazione penale
dà la possibilità al minore incriminato di incontrare la sua
vittima, alla presenza di un mediatore.
Le
parti (reo e vittima) vengono ascoltate separatamente, in un clima di
accoglienza ed ascolto, per dare spazio alla persona di raccontare il
suo “conflitto” di esprimere la sua sofferenza e, per quanto
riguarda la vittima, di manifestare la sua rabbia e rappresentare le
sue aspettative. Se entrambi sono d’accordo, possono incontrarsi e
stabilire anche eventuali risarcimenti.